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un campo tartaro


Come fuggire ai soldati dell’Emiro? Venuto il momento, vedrebbe.

Il campo di Féofar presentava uno spettacolo magnifico: numerose tende, fatte di pelli di feltro o di stoffe di seta, luccicavano ai raggi del sole. Gli alti pennacchi, eretti sulle loro punte coniche, si dondolavano in mezzo a banderuole ed a stendardi multicolori. Le più ricche di queste tende appartenevano ai seid ed ai kodjas, che sono i primi personaggi del kanato. Una bandiera speciale, ornata d’una coda di cavallo, la cui asta si slanciava da un fascio di bastoni rossi e bianchi, artisticamente intrecciati, indicava l’alto grado di questi capi tartari; poi all’infinito sorgevano nella pianura alcune migliaja di quelle tende turcomanne chiamate «karaoy,» e che erano state trasportate a schiena di cammello.

Il campo conteneva almeno centocinquantamila soldati tra fanti e cavalieri, adunati sotto il nome di Alamani. Tra essi, e come i tipi principali del Turkestan, si notavano prima di tutto i Tadjik, dai tratti irregolari, dalla pelle bianca, dall’alta statura, dagli occhi e dai capelli neri, che formavano il grosso dell’armata tartara e di cui i kanati di Hokand e di Kunduz avevano fornito un contingente quasi eguale a quello di Bukara. Ora questi Tadjik si mescevano con altri campioni di quelle diverse razze che abitano il Turkestan o i paesi con essi confinanti. Vi erano Usbechi, piccini di statura, dalla barba rossa, simili a quelli che s’erano dati ad inseguire Michele Strogoff. Vi erano Kirghizi, dalla faccia schiacciata come quella dei Kalmuki, vestiti con le cotte di maglia, portanti lancie, archi e freccie di fabbricazione europea, oppure la sciabola, il fucile a miccia e