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— 96 — michele strogoff |
Una sola dunque era la via praticabile: la via maestra. Cercar di giungervi rasentando il lembo del bosco, senza destar l’attenzione, percorrere un quarto di versta innanzi d’esser stato veduto, domandare al suo cavallo ciò che gli rimaneva d’energia e di vigore, quando anche dovesse cader morto nel giungere alle rive dell’Obi, poi, con una chiatta, od a nuoto se mancasse ogni altro mezzo di trasporto, attraversare questo fiume importante — ecco ciò che doveva tentare Michele Strogoff.
In faccia al pericolo la sua energia ed il suo coraggio s’erano raddoppiati. Ne andava della sua vita, della sua missione, dell’onore del suo paese, fors’anco della vita di sua madre. E si mise all’opera.
Non vi era più un istante da perdere. Già avveniva un certo movimento fra gli uomini del drappello. Alcuni cavalieri andavano e venivano sul lembo del bosco. Gli altri erano ancora coricati a piedi degli alberi, ma i loro cavalli si radunavano a poco a poco verso la parte centrale del boschetto.
A Michele Strogoff venne dapprima in mente d’impadronirsi d’uno di questi cavalli, ma egli pensò con ragione che dovevano essere stanchi non meno del suo. Meglio era adunque fidarsi a quello di cui era sicuro, e che gli aveva reso tanti buoni servigi. Il coraggioso animale, nascosto da un alto cespuglio d’eriche, era sfuggito agli sguardi degli Usbechi, i quali d’altra parte non si erano spinti fin nell’estremo confine del bosco.
Michele Strogoff, strisciando sotto l’erba, si accostò al suo cavallo, che stava sdrajato a terra,