Pagina:Michele Strogoff.djvu/203


— 91 —

un ultimo sforzo


— Delle torcie!... pensò.

E diè indietro vivamente, cacciandosi come un selvaggio nella parte più folta.

Accostandosi al bosco, il passo dei cavalli cominciò a rallentarsi. Forse che quei cavalieri illuminavano la via coll’intenzione di osservarne ogni andito?

Michele Strogoff dovette temer questo, e per istinto diè indietro fino a un margine del corso d’acqua pronto a tuffarvisi se fosse necessario.

Il drappello, giunto all’altezza del boschetto, si arrestò. I cavalieri misero piede a terra. Erano circa cinquanta. Una diecina d’essi portavano le torcie che rischiaravano la via in un largo raggio.

Da certi preparativi, Michele Strogoff riconobbe che per inaspettata fortuna il drappello non pensava menomamente a visitare il bosco, ma solo voleva bivaccare in quel luogo per far riposare i cavalli e permettere agli uomini di prendere un po’ di cibo.

Infatti i cavalli colle briglie sciolte cominciavano a pascolare l’erba folta che tappezzava il suolo. Quanto ai cavalieri, essi si sdraiarono lungo la via e si spartirono le provviste delle loro bisaccie.

Michele Strogoff aveva conservato tutta la sua freddezza d’animo, e cacciandosi fra le alte erbe, cercò di vedere e d’intendere.

Era un drappello che veniva da Omsk. Si componeva di cavalieri usbechi, razza dominante in Tartaria, che nel tipo s’accosta molto ai Mongoli. Questi uomini, ben formati, di statura superiore alla mezzana, dai lineamenti rudi e selvaggi, avevano in capo il «talpak,» specie di berretto di pelo di montone nero, eran calzati di stivali