Pagina:Michele Strogoff.djvu/187


— 75 —

gli acquitrini della baraba


Fino allora le condizioni ammosferiche avevano fortunatamente favorito il viaggio del corriere dello czar. La temperatura era sopportabile. La notte, brevissima in quel tempo, ma rischiarata da quella mezza luce della luna navigante attraverso le nuvole, rendeva la via praticabile. D’altra parte Michele Strogoff viaggiava da uomo sicuro del suo cammino, senza dubbî od esitazioni di sorta. Non ostante i pensieri dolorosi che lo assediavano, egli aveva serbato un’estrema lucidità di spirito e camminava dritto alla meta, come se questa fosse stata visibile all’orizzonte. Quando si fermava un momento a qualche svolta della via, era per lasciar ripigliare fiato al suo cavallo. Allora egli metteva piede a terra per alleviarlo un istante, poi appoggiava l’orecchio al suolo ed ascoltava se non si propagasse alla superficie della steppa qualche rumore di cavalli galoppanti. Quando non aveva alcun sospetto, ripigliava le mosse e tirava innanzi.

Ah! se tutta questa regione siberiana fosse stata invasa dalla notte polare, da quella notte permanente di molti mesi! — Questo avrebbe desiderato Michele per attraversarla più al sicuro.

Il 30 luglio, alle nove del mattino, Michele Strogoff oltrepassava la stazione di Turumoff e si gettava nella regione acquitrinosa della Baraba.

Colà, sopra uno spazio di trecento verste, le difficoltà naturali potevano essere estremamente grandi. Egli lo sapeva, ma sapeva pure che doveva superarle ad ogni costo.

I vasti acquitrini della Baraba, compresi da nord a sud fra il 60° ed il 52° parallelo, servono di serbatojo a tutte le acque piovane che non trovano sbocco nè verso l’Obi, nè verso l’Irtyche.