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michele strogoff

venivano a cercarvi delle notizie. Qualcuno parlava del prossimo arrivo di truppe moscovite, non già ad Omsk ma a Tomsk — truppe destinate a ripigliare questa città ai Tartari di Féofar-Kan.

Michele Strogoff porgeva orecchio attento a quanto si diceva, ma non si mesceva punto alla conversazione.

A un tratto, un grido lo fe’ sussultare — un grido che gli giunse in fondo al cuore, e gli suonarono all’orecchio queste due parole:

— Mio figlio!

Sua madre, la vecchia Marfa, stava dinanzi a lui e gli sorrideva tutta tremante e gli tendeva le braccia.

Michele Strogoff si levò in piedi, stava per slanciarsi...

Ma lo arrestarono a un tratto il pensiero del dovere, il gran pericolo che era in quello spiacevole incontro per sua madre e per lui, e tanto fu l’imperio sovra sè stesso, che non si mosse un muscolo della sua faccia.

Venti persone stavano riunite nella sala comune. Fra esse vi erano forse delle spie, e forse che non si sapeva nella città che il figlio di Marfa Strogoff apparteneva al corpo dei corrieri dello czar?

Michele Strogoff non si mosse.

— Michele! sclamò la madre.

— Chi siete, buona signora? domandò Michele Strogoff, balbettando meglio che pronunziando queste parole.

— Chi sono io? Me lo domandi, figlio mio? non riconosci più tua madre?

— Siete in errore! rispose freddamente Michele Strogoff; una rassomiglianza v’inganna.