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— 68 — michele strogoff |
venivano a cercarvi delle notizie. Qualcuno parlava del prossimo arrivo di truppe moscovite, non già ad Omsk ma a Tomsk — truppe destinate a ripigliare questa città ai Tartari di Féofar-Kan.
Michele Strogoff porgeva orecchio attento a quanto si diceva, ma non si mesceva punto alla conversazione.
A un tratto, un grido lo fe’ sussultare — un grido che gli giunse in fondo al cuore, e gli suonarono all’orecchio queste due parole:
— Mio figlio!
Sua madre, la vecchia Marfa, stava dinanzi a lui e gli sorrideva tutta tremante e gli tendeva le braccia.
Michele Strogoff si levò in piedi, stava per slanciarsi...
Ma lo arrestarono a un tratto il pensiero del dovere, il gran pericolo che era in quello spiacevole incontro per sua madre e per lui, e tanto fu l’imperio sovra sè stesso, che non si mosse un muscolo della sua faccia.
Venti persone stavano riunite nella sala comune. Fra esse vi erano forse delle spie, e forse che non si sapeva nella città che il figlio di Marfa Strogoff apparteneva al corpo dei corrieri dello czar?
Michele Strogoff non si mosse.
— Michele! sclamò la madre.
— Chi siete, buona signora? domandò Michele Strogoff, balbettando meglio che pronunziando queste parole.
— Chi sono io? Me lo domandi, figlio mio? non riconosci più tua madre?
— Siete in errore! rispose freddamente Michele Strogoff; una rassomiglianza v’inganna.