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michele strogoff

grida soffocate, a cui risposero immediatamente colpi di lancia, e la via fu sgombra in un istante.

Quando la scorta fu scomparsa:

— Chi è quell’uffiziale? domandò Michele Strogoff rivolgendosi al mujik.

E nel fare questa domanda la sua faccia era pallida come quella d’un cadavere.

— È Ivan Ogareff, rispose il Siberiano con una voce sommessa in cui si sentiva l’odio.

— Lui! esclamò Michele Strogoff, e questa parola gli sfuggì con accento di rabbia che non potè vincere.

Aveva riconosciuto nell’uffiziale il viaggiatore che lo aveva percosso al cambio dei cavalli d’Ichim; e come se gli s’illuminasse lo spirito, quel viaggiatore che aveva intravveduto appena gli ricordò al medesimo tempo il vecchio zingaro di cui aveva sorpreso le parole nel mercato di Nijni-Novgorod.

Michele Strogoff non s’ingannava. Questi due uomini erano la medesima persona. Appunto nei panni dello zingaro, misto alla compagnia di Sangarre, Ivan Ogareff aveva potuto lasciare la provincia di Njini-Novgorod, dove era andato a cercare, fra gli stranieri numerosi che la fiera aveva chiamato dall’Asia centrale, gli uomini che voleva associare al compimento della sua opera maledetta.

Sangarre ed i suoi zingari, vere spie al suo soldo, erano assolutamente dipendenti da lui; e lui era che, durante la notte, sul campo della fiera, aveva profferito quella frase bizzarra di cui Michele Strogoff poteva ora comprendere il significato; lui che viaggiava a bordo del Caucaso con tutta la frotta di zingari; lui che, per quell’altra via da Kazan ad Ichim, attraverso l’Ural, era giunto a Omsk, dove ora comandava da padrone.