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— 62 — michele strogoff |
E il mujik raccontò a Michele Strogoff i diversi incidenti della lotta di cui era stato testimone: l’assalto della chiatta fatto dalle barche tartare, il saccheggio del tarentass, l’uccisione dei barcajuoli....
Ma Michele Strogoff non l’ascoltava più, e portando la mano alla sua veste sentì la lettera imperiale sempre stretta al suo petto.
Respirò, ma non era tutto.
— Una giovinetta mi accompagnava! diss’egli.
— Non l’hanno uccisa, rispose il mujik prevenendo l’inquietudine che leggeva negli occhi dell’ospite, ma la trassero nella loro barca e continuarono a scendere l’Irtyche. È una prigioniera di più da aggiungere a tanti altri che vengono condotti a Tomsk.
Michele Strogoff non potè rispondere, solo appoggiò la mano al cuore per comprimerne i battiti.
Ma non ostante le traversie, il sentimento del dovere dominava tutta l’anima sua.
— Dove sono? chiese egli.
— Sulla riva destra dell’Irtyche, e solo a cinque verste da Omsk, rispose il mujik.
— Che ferita ho io ricevuto, che mi fulminò in questo modo? Non fu già una schioppettata?
— No, fu un colpo di lancia alla testa: la ferita è ora cicatrizzata, rispose il mujik; dopo qualche giorno di riposo, babbo mio, potrai proseguire la tua strada. Tu sei caduto nel fiume, ma i Tartari non ti hanno toccato nè frugato ed hai ancora la tua borsa in tasca.
Michele Strogoff porse la mano al mujik, poi drizzandosi con uno sforzo improvviso:
— Amico, disse, da quanto tempo sono io nella tua capanna?