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un uragano nei monti urali


— Partiamo, rispose la giovinetta.

Fu dato l’ordine allo iemschik, ed il tarentass si mosse risalendo i primi gradini dei monti Urali.

Erano le otto, il sole stava per tramontare. Pure il tempo era già oscurissimo, non ostante il crepuscolo che si prolunga sotto questa latitudine. Enormi vapori sembravano abbassare la vôlta del cielo, ma nessun vento ancora li spingeva. Pur se ne stavano immobili da un orizzonte all’altro; così non era dallo zenit al nadir, chè anzi la distanza che li separava dal suolo scemava a vista d’occhio. Alcune di queste striscie di vapori mandavano una specie di luce fosforescente e sottendevano, per quel che pareva, archi di 60° od 80°. Le loro zone sembravano accostarsi a poco a poco a terra, e stringevano la loro rete in guisa da abbracciare fra breve la montagna, come se qualche uragano superiore le spingesse dall’alto in basso. D’altra parte la via saliva verso quelle grosse nubi giunte quasi allo stato di condensazione. Fra poco la strada ed i vapori dovevano confondersi, e se le nuvole non si risolvessero in pioggia, la nebbia doveva essere tale da impedire al tarentass d’avanzarsi oltre, pena il rischio di cadere in qualche precipizio.

Pur la catena dei monti Urali non ha che una mediocre altezza. Le sue più alte vette non passano i 5000 piedi. Le eterne nevi vi sono ignote. e quelle che un inverno siberiano ammucchia sulle vette si dissolvono interamente al sole d’estate. Le piante e gli alberi vi crescono ad ogni altezza. Al pari del traffico delle miniere di ferro e di rame, quello dei giacimenti di pietre preziose rende necessario un concorso grande di operai. Onde quei villaggi che si chiamano zavody vi si