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atto primo | 79 |
che detto avrá?
Zenobia. L’ignora ancor: mi strinse
segreto laccio a Radamisto. Ei torna
agl’imenei promessi.
Egle. Oh numi! e trova
sollevata l’Armenia,
vedovo il trono, ucciso il re, scomposti
tutti i disegni sui;
e Zenobia...
Zenobia. E Zenobia in braccio altrui.
Egle. Che barbaro destin!
Zenobia. Or di’: poss’io
espormi a rimirar l’acerbo affanno
d’un prence sí fedel? che tanto amai?
che tanto meritò? che forse al solo
udir che d’altri io sono... Addio.
Egle. Mi lasci?
Zenobia. Sí, cara; io fuggo: è periglioso il loco,
le memorie, i pensieri.
Egle. A chi fa oltraggio
l’innocente pietá...
Zenobia. Temer conviene
l’insidie ancor d’una pietá fallace.
Addio; prendi un amplesso e resta in pace.
Resta in pace, e gli astri amici,
bella ninfa, a’ giorni tuoi
mai non splendano infelici,
come splendono per me.
Grata ai numi esser tu puoi,
che nascesti in umil cuna.
Oh, di stato e di fortuna
potess’io cangiar con te! (parte)