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atto terzo | 51 |
Aspasia. È inviolabil legge.
Temistocle. E ben, v’impongo
celar quanto io dirò, finché l’impresa
risoluta da me non sia matura.
Neocle. Pronto Neocle il promette.
Aspasia. Aspasia il giura.
Temistocle. Dunque sedete, e di coraggio estremo
date prova in udirmi. (siede)
Neocle. (Io gelo.)
Aspasia. (Io tremo.)
(siedono Neocle ed Aspasia)
Temistocle. L’ultima volta è questa,
figli miei, ch’io vi parlo. Infin ad ora
vissi alla gloria; or, se piú resto in vita,
forse di tante pene
il frutto perderei: morir conviene.
Aspasia. Ah, che dici!
Neocle. Ah, che pensi!
Temistocle. È Serse il mio
benefattor; patria la Grecia. A quello
gratitudine io deggio;
a questa fedeltá. Si oppone all’uno
l’altro dovere; e, se di loro un solo
è da me violato,
o ribelle divengo, o sono ingrato.
Entrambi questi orridi nomi io posso
fuggir, morendo. Un violento ho meco
opportuno velen...
Aspasia. Come! ed a Serse
andar non promettesti?
Temistocle. E in faccia a lui
l’opra compir si vuol.
Neocle. Sebaste afferma
che a giurar tu verrai...
Temistocle. So ch’ei lo crede,