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atto terzo 317


nol pretenda Tamiri. Egli è mio sposo;

la sua sposa son io:
io l’amai da che nacqui; Aminta è mio.
Agenore. È giusto, o bella ninfa,
ma inutile il tuo duol. Se saggia sei,
credimi, ti consola.
Elisa.   Io consolarmi?
Ingegnoso consiglio
facile ad eseguir!
Agenore.   L’eseguirai,
se imitar mi vorrai. Puoi consolarti,
e ne dèi dall’esempio esser convinta.
Elisa. Io non voglio imitarti;
consolarmi io non voglio: io voglio Aminta.
Agenore. Ma, s’ei piú tuo non è, con quei trasporti
che puoi far?
Elisa.   Che far posso? Ad Alessandro,
agli uomini, agli dèi pietá, mercede,
giustizia chiederò. Voglio che Aminta
confessi a tutti in faccia
che del suo cor m’ha fatto dono; e voglio,
se pretende il crudel che ad altri il ceda,
voglio morir d’affanno, e ch’ei lo veda.
          Io rimaner divisa
     dal caro mio pastore!
     No, non lo vuole Amore;
     no, non lo soffre Elisa;
     no, sí tiranno il core
     il mio pastor non ha.
          Ch’altri il mio ben m’involi,
     e poi ch’io mi consoli!
     Come non hai rossore
     di sí crudel pietá? (parte)