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atto secondo | 303 |
SCENA III
Agenore ed Aminta.
secondate i miei detti
a favor di Tamiri. Ah! n’è ben degna
la sua virtú, la sua beltá... Ma dove,
dove corri, mio re?
Aminta. La bella Elisa
pur da lungi or mirai: perché s’asconde?
dov’è?
Agenore. Partí.
Aminta. Senza vedermi? Ingrata!
Ah! raggiungerla io voglio. (s’incammina)
Agenore. Ferma, signor. (l’arresta)
Aminta. Perché?
Agenore. Non puoi.
Aminta. Non posso?
Chi dá legge ad un re?
Agenore. La sua grandezza,
la giustizia, il decoro, il bene altrui,
la ragione, il dover.
Aminta. Dunque pastore
io fui men servo? e che mi giova il regno?
Agenore. Se il regno a te non giova,
tu giovar devi a lui. Te dona al regno
il ciel, non quello a te. L’eccelsa mente,
l’alma sublime, il regio cor, di cui
largo ei ti fu, la pubblica dovranno
felicitá produrre; e solo in questa
tu dèi cercar la tua. Se te non reggi,
come altrui reggerai? come... Ah! mi scordo
che Aminta è il re, che un suo vassallo io sono.
Errai per troppo zel: signor, perdono.
(vuole inginocchiarsi)