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224 | xix - antigono |
Alessandro. (attonito) Ove son io?
Demetrio. (ad un macedone, che comparisce sulla porta del gabinetto)
T’affretta,
corri, vola, compisci il gran disegno:
Antigono disciogli: eccoti il segno.
(dá l’anello al macedone, che subito parte)
Alessandro. (È folgore ogni sguardo
che balena in quel ciglio.)
Demetrio. (inquieto a parte) (A sciôrre il padre
di propria man mi sprona il cor; m’affrena
il timor che Alessandro
turbi l’opra, se parto. In due vorrei
dividermi in un punto.)
Alessandro. (alzandosi da sedere) Ancor ti resta
altro forse a tentar? Perché non togli
quell’orribil sembiante agli occhi miei?
Demetrio. (Andrò? No: perderei
il frutto dell’impresa.) (senza udirlo)
Alessandro. Ah! l’insensato
né pur m’ascolta. Altrove
il passo io volgerò. (vuol partire)
Demetrio. (opponendosi) Ferma!
Alessandro. Son io
dunque tuo prigionier?
Demetrio. Da queste soglie
vivi non uscirem, finché sospesa
d’Antigono è la sorte.
Alessandro. (Ah! s’incontri una morte:
questo è troppo soffrir.) (con impeto) Libero il passo
lasciami, traditore, o ch’io... Ma il cielo
soccorso alfin m’invia.
Demetrio. (agitato) Stelle, è Clearco!
Che fo? Se a lui m’oppongo,
non ritengo Alessandro. Ah! fosse almeno
il padre in libertá. (s’accosta ad Alessandro)