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atto secondo 217


Demetrio.   Tu non parlasti;

ma quel ciglio parlò.
Berenice.   Fu inganno.
Demetrio.   Ah! lascia
a chi deve morir questo conforto.
No, crudel tu non sei; procuri invano
finger rigor: ti trasparisce in volto
co’ suoi teneri moti il cor sincero.
Berenice. E tu dici d’amarmi? Ah! non è vero.
Ti sarebbe piú cara
la mia virtú; non ti parría trionfo
la debolezza mia; verresti meno
a farmi guerra; estingueresti un foco,
che ci rende infelici,
può farci rei; non cercheresti, ingrato!
saper per te fra quali angustie io sono.
Demetrio. Berenice, ah! non piú: son reo; perdono.
Eccomi qual mi vuoi: conosco il fallo;
l’emenderò. Da cosí bella scorta
se preceder mi vedo,
il cammin di virtú facile io credo.
          Non temer, non son piú amante;
     la tua legge ho giá nel cor.
Berenice.   Per pietá! da questo istante
     non parlar mai piú d’amor.
Demetrio.   Dunque addio... Ma tu sospiri?
Berenice.   Vanne: addio. Perché t’arresti?
Demetrio.   Ah, per me tu non nascesti!
Berenice.   Ah, non nacqui, oh Dio, per te!
A due.   Che d’Amor nel vasto impero
     si ritrovi un duol piú fiero,
     no, possibile non è.