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atto secondo 159


Attilia. Sol che son figlia io mi rammento adesso.

Lasciami.
Publio.   Non sperarlo.
Attilia.   Ah! parte intanto
il genitor.
Barce.   Non dubitar ch’ei parta,
finché Amilcare è qui.
Attilia.   Chi mi consiglia?
chi mi soccorre? Amilcare!
Amilcare.   Io mi perdo
fra l’ira e lo stupor.
Attilia.   Licinio!
Licinio.   Ancora
dal colpo inaspettato
respirar non poss’io.
Attilia.   Publio!
Publio.   Ah! germana,
piú valor, piú costanza. Il fato avverso
come si soffra, il genitor ci addita:
non è degno di lui chi non l’imíta.
Attilia. E tu parli cosí? tu, che dovresti
i miei trasporti accompagnar gemendo!
Io non t’intendo, o Publio.
Amilcare.   Ed io l’intendo.
Barce è la fiamma sua; Barce non parte,
se Regolo non resta: ecco la vera
cagion del suo coraggio.
Publio. (Questo pensar di me! Stelle, che oltraggio!)
Amilcare. Forse, affinché il senato
non accettasse il cambio, ei pose in opra
tutta l’arte e l’ingegno.
Publio. Il dubbio inver d’un africano è degno.
Amilcare. E pur...
Publio.   Taci, e m’ascolta.
Sai che l’arbitro io sono
della sorte di Barce?