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112 xvii - zenobia


SCENA VII

Egle, da prima non veduta, e detti.

Mitrane.   La vita

di Radamisto ecco in tua man. (a Tiridate)
Egle.   (Che sento!)
Mitrane. Punisci il traditor.
Tiridate.   Sí, andiam. (vuol partire)
Egle.   T’arresta,
prence: ove corri? Incrudelir non déi
contro quell’infelice.
Tiridate.   E te chi muove
d’un perfido in difesa?
Egle.   Io non lo credo,
signor, sí reo.
Tiridate.   Ma di Zenobia il padre
a tradimento oppresse.
Mitrane.   E poi la figlia
tentò svenar. Non m’ingannò chi vide
l’atto crudel.
Egle.   Pensaci meglio. A tutto
prestar fé non bisogna; e co’ nemici
piú bella è la pietá.
Tiridate.   Le proprie offese
posso obbliar; ma di Zenobia i torti
perdonargli io non posso. A lei quel sangue
si deve in sacrifizio.
Egle.   Io t’assicuro
ch’ella nol chiede.
Tiridate.   E non richiesto appunto
ha merito il servir. (vuol partire)
Egle.   Férmati, oh dèi!
Credi: non parlo invan. Se ami Zenobia,