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atto secondo 37


SCENA IX

Megacle ed Aristea.

Megacle. (Oh ricordi crudeli!)

Aristea.   Alfin siam soli:
potrò senza ritegni
il mio contento esagerar; chiamarti
mia speme, mio diletto,
luce degli occhi miei...
Megacle.   No, principessa,
questi soavi nomi
non son per me: serbali pure ad altro
piú fortunato amante.
Aristea.   E il tempo è questo
di parlarmi cosí? Giunto è quel giorno...
Ma semplice ch’io son: tu scherzi, o caro,
ed io stolta m’affanno.
Megacle.   Ah! non t’affanni
senza ragion.
Aristea.   Spiegati dunque.
Megacle.   Ascolta:
ma coraggio! Aristea, L’alma prepara
a dar di tua virtú la prova estrema.
Aristea. Parla. Aimè! che vuoi dirmi? Il cor mi trema.
Megacle. Odi. In me non dicesti
mille volte d’amar, piú che ’l sembiante,
il grato cor, l’alma sincera, e quella,
che m’ardea nel pensier, fiamma d’onore?
Aristea. Lo dissi, è ver. Tal mi sembrasti, e tale
ti conosco, t’adoro.
Megacle.   E, se diverso
fosse Megacle un dí da quel che dici;
se infedele agli amici,