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atto secondo 35


Aristea. E questi, o padre, è il vincitor? (additando Megacle)

Clistene.   Mel chiedi?
Non lo ravvisi al volto
di polve asperso? all’onorate stille,
che gli rigan la fronte? a quelle foglie,
che son di chi trionfa
l’ornamento primiero?
Aristea. Ma che dicesti, Alcandro?
Alcandro.   Io dissi il vero.
Clistene. Non piú dubbiezza. Ecco il consorte a cui
il ciel t’accoppia: e nol potea piú degno
ottener dagli dèi l’amor paterno.
Aristea. (Che gioia!)
Megacle.   (Che martír!)
Licida.   (Che giorno eterno!)
Clistene. E voi tacete? Onde il silenzio? (a Megacle ed Aristea)
Megacle.   (Oh Dio!
come comincerò?)
Aristea.   Parlar vorrei,
ma...
Clistene.   Intendo. Intempestiva
è la presenza mia. Severo ciglio,
rigida maestá, paterno impero
incomodi compagni
sono agli amanti. Io mi sovvengo ancora
quanto increbbero a me. Restate. Io lodo
quel modesto rossor che vi trattiene.
Megacle. (Sempre lo stato mio peggior diviene.)
Clistene.   So ch’è fanciullo Amore,
     né conversar gli piace
     con la caduta etá.
          Di scherzi ei si compiace;
     si stanca del rigore:
     e stan di rado in pace
     rispetto e libertá. (parte)