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266 xv - ciro riconosciuto

se ne sdegnasse, non potean cadere i suoi furori che sul finto Ciro, di cui con questa dimezzata confessione accreditava l’impostura. Sdegnossi Astiage, ed in pena del trasgredito comando privò Arpago d’un figlio, e con sí barbare circostanze, che, non essendo necessarie all’azione che si rappresenta, trascuriamo volentieri di rammentarle. Sentí trafiggersi il cuore l’infelice Arpago nella perdita del figlio; ma pure, avido di vendetta, non lasciò di libertá alle smanie paterne, se non quanta ne bisognava perché la soverchia tranquillitá non iscemasse credenza alla sua simulata rassegnazione. Fece credere al re che nelle lagrime sue avesse parte maggiore il pentimento del fallo che il dolor del castigo; e rassicurollo a segno che, se non gli rese interamente la confidenza primiera, almeno non si guardava da lui. Incominciarono quindi Arpago a meditar le sue vendette, ed Astiage le vie d’assicurarsi il trono con l’oppressione del creduto nipote. Il primo si applicò a sedurre, ad irritare i grandi contro del re e ad eccitare il principe Cambise fino in Persia, dove viveva in esilio; il secondo a simular pentimento della sua crudeltá usata contro di Ciro, tenerezza per lui, desiderio di rivederlo e risoluzione di riconoscerlo per suo successore. Ed all’uno ed all’altro riuscí cosí felicemente il disegno, che non mancava ormai che lo stabilimento del giorno e del luogo, ad Arpago per opprimere il tiranno con l’acclamazione del vero Ciro, ad Astiage per aver nelle sue forze il troppo credulo impostore col mezzo d’un fraudolento invito. Era costume de’ re di Media il celebrare ogni anno su’ confini del regno (dov’erano appunto le capanne di Mitridate) un solenne sacrifizio a Diana. Il giorno ed il luogo di tal sacrifizio (che saran quelli dell’azione che si rappresenta) parvero ad entrambi opportuni all’esecuzione de’ loro disegni. Ivi per vari accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il regno e la vita; ma, difeso dal generoso nipote, pieno di rimorso e di tenerezza, depone sulla fronte di lui il diadema reale, e lo conforta sul proprio esempio a non abusarne, com’egli ne avea abusato.

(Erodoto, Clio, lib. i; Giustino, lib. i; Ctesia, Hist. excerpta; Valerio Massimo, i, 7, ecc.).