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atto primo | 217 |
di non scoprirti.
Achille. E questa gonna è poco?
Deidamia. Che val, se la smentisce
ogni tuo sguardo, ogni tuo moto? I passi
troppo liberi son; troppo è sicuro
quel tuo girar di ciglio. Ogni cagione
basta a farti sdegnar; né femminili
son poi gli sdegni tuoi. Che piú? Se vedi
un elmo, un’asta, o se parlar ne senti,
giá feroce diventi;
escon dagli occhi tuoi lampi e faville:
Pirra si perde e comparisce Achille.
Achille. Ma il cambiar di natura
è impresa troppo dura.
Deidamia. È dura impresa
anche l’opporsi a un genitor. Poss’io
dunque con questa scusa
accettar Teagene.
Achille. Ah! no, mia vita:
farò quanto m’imponi.
Deidamia. Or lo prometti
ma poi...
Achille. No: questa volta
t’ubbidirò. Terrò gli sdegni a freno,
non parlerò piú d’armi; e de’ tuoi cenni
se piú fedele esecutor non sono,
corri in braccio al rival, ch’io ti perdono.
Sí, ben mio: sarò qual vuoi;
lo prometto a que’ bei rai
che m’accendono d’amor.