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atto primo | 215 |
SCENA VII
Appartamenti di Deidamia.
Licomede e Deidamia.
che piacerti non può?
Deidamia. Giá molto intesi
parlar di Teagene.
Licomede. E vuoi di lui
su la fé giudicar degli occhi altrui?
Semplice! Va’; m’attendi
nel giardino real; colá fra poco
col tuo sposo verrò.
Deidamia. Giá sposo!
Licomede. Ei venne
su la mia fé: tutto è disposto. (partendo)
Deidamia. Almeno...
padre... Ah! senti.
Licomede. M’attende
il greco ambasciador. Piú non opporti:
siegui il consiglio mio.
Deidamia. Dunque un comando
non è questo, o signor.
Licomede. Sempre a una figlia
comanda il genitor, quando consiglia.
Alme incaute, che, torbide ancora,
non provaste l’umane vicende,
ben lo veggo, vi spiace, v’offende
il consiglio d’un labbro fedel.
Confondete con l’utile il danno;
chi vi regge credete tiranno;
chi vi giova chiamate crudel. (parte)