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atto primo | 11 |
che fûr comuni a noi
l’opre, i pensier, gli affetti,
e alfine i nomi ancor. (parte)
SCENA III
Licida ed Aminta.
oh Megacle fedel!
Aminta. Cosí di lui
non parlavi poc’anzi.
Licida. Eccomi alfine
possessor d’Aristea. Vanne: disponi
tutto, mio caro Aminta. Io con la sposa,
prima che il sol tramonti,
voglio quindi partir.
Aminta. Più lento, o prence,
nel fingerti felice. Ancor vi resta
molto di che temer. Potria l’inganno
esser scoperto: al paragon potrebbe
Megacle soggiacer. So ch’altre volte
fu vincitor, ma un impensato evento
so che talor confonde il vile e ’l forte;
né sempre ha la virtù l’istessa sorte.
Licida. Oh! sei pure importuno
con questo tuo noioso
perpetuo dubitar. Vicino al porto
vuoi ch’io tema il naufragio? A’ dubbi tuoi
chi presta fede intera
non sa mai quando è l’alba o quando è sera.
Quel destrier, che all’albergo è vicino,
più veloce s’affretta nel corso: