Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. III, 1914 – BEIC 1885240.pdf/128

122 xii - demofoonte


che a Dircea sovrastasse alcun periglio,

aperto non l’avrei.
Timante.   Quand’ella adunque
oggi dal re fu destinata a morte,
perché non lo facesti?
Matusio.   Eran tant’anni
scorsi di giá, ch’io l’obbliai.
Timante.   Ma come
or ti sovvien?
Matusio.   Quando a fuggir m’accinsi,
fra le cose piú care
il ritrovai, che trassi meco al mare.
Timante. Lascia alfín ch’io lo vegga. (con impazienza)
Matusio.   Aspetta.
Timante.   Oh stelle!
Matusio. Rammenti giá che alla real tua madre
fu amica sí fedel la mia consorte,
che in vita l’adorò, seguilla in morte?
Timante. Lo so.
Matusio.   Questo ravvisi
reale impronto?
Timante.   Sí.
Matusio.   Vedi ch’è il foglio
di propria man della regina impresso?
Timante. Sí, non straziarmi piú! (con impazienza)
Matusio. (gli porge il foglio) Leggilo adesso.
Timante. (Mi trema il cor.) (legge) «Non di Matusio è figlia,
ma del tronco reale
germe è Dircea. Demofoonte è il padre;
nacque da me. Come cambiò fortuna,
altro foglio dirá. Quello si cerchi
nel domestico tempio, a piè del nume,
lá dove altri non osa
accostarsi che il re. Prova sicura
eccone intanto: una regina il giura.
Argia».