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atto primo 255


balzan sui nostri legni; orrido scempio

si fa de’ vinti; in mille aspetti e mille
erra intorno la morte. Altri sommerso,
altri spira trafitto, e si confonde
la cagion del morir tra ’l ferro e l’onde.
Io, sfortunato avanzo
di perdite sí grandi, odiando il giorno,
su la scomposta prora
d’infranta nave, a mille strali esposto,
lungamente pugnai, finché, versando
da cento parti il sangue,
perdei l’uso de’ sensi e caddi esangue.
Cleonice. (Mi fa pietá.)
Alceste.   Quindi in balia dell’onde
quanto errai non so dirti. Aprendo il ciglio,
il lacero naviglio
so che piú non rividi. In rozzo letto
sotto rustico tetto io mi trovai.
Ingombre le pareti
eran di nasse e reti, e curvo e bianco
pietoso pescator mi stava al fianco.
Cleonice. Ma in qual terra giungesti?
Alceste.   In Creta, ed era
cretense il pescator. Questi sul lido
mi trovò semivivo; al proprio albergo
pietoso mi portò; ristoro al seno,
dittamo alle ferite
sollecito apprestò: questi provvide,
dopo lungo soggiorno,
di quel picciolo legno il mio ritorno.
Fenicio. Oh strani eventi!
Olinto.   Alfine
l’istoria terminò. Tempo sarebbe...
Cleonice. T’intendo, Olinto. Io sceglierò lo sposo:
ciascun sieda e m’ascolti.
  (Fenicio, Olinto e gli altri grandi siedono)