Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. II, 1913 – BEIC 1884499.pdf/239


varianti 233


all’offerta consente! Eh! ch’io conosco

tutto quel cor. No, no. L’odio paterno,
il suo laccio primiero è troppo forte.
Mi sarebbe nemica, ancor consorte.
Emirena. No, Cesare, t’inganni. Il dover mio
fará strada all’amor. Rivoca il cenno,
perdona al genitor. Per quel sereno
raggio del ciel, che nel tuo volto adoro,
. . . . . . . . . . . . . . . . . . 
ch’io bacio e stringo e del mio pianto inondo.
Adriano. Sorgi. Ah! non pianger piú. (Chi vide mai
lagrime cosí belle? È donna o dea?
Quando m’innamorò, cosí piangea.)
Sabina. (Che spero piú?)
Farnaspe.   Risolvi, Augusto.
Adriano.   (Almeno
fosse altrove Sabina!)
Sabina. (Il mio scorno è sicuro.)
Adriano. (I rimproveri suoi giá mi figuro.)
Sabina. (Ah, coraggio una volta!) Augusto, io veggo...
Adriano. Ma che vedi, Sabina? Io non parlai:
io non risolsi ancor. Giá ti quereli,
giá reo mi vuoi. Qual legge mai, qual dritto
permette di punir pria del delitto?
Sabina. Non adirarti ancor; sentimi, e credi
che non arte d’amore,
non mascherato sdegno
in me ti parlerá. Puro nel volto
tutto il cor mi vedrai.
Adriano.   Parla: t’ascolto,
Sabina. Io veggo, Augusto, e ’l vede
pur troppo ognun, che t’affatichi invano
per renderti a te stesso; ed io, che, invece
di sdegnarmi con te per tanti oltraggi,
sento che piú m’accendo,
da quel che provo a compatirti apprendo.
Troppo, troppo fatali
son le nostre ferite. Uno di noi
. . . . . . . . . . . . . . . . . . 
ed io stessa sarò la tua difesa.