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atto primo | 167 |
(e la mia sorte ancor.)
Mi spiace il tuo tormento;
ne sono a parte, e sento
che del tuo cor la pena
è pena del mio cor.
(parte Adriano, seguito da tutte le guardie e da’ soldati romani)
SCENA II
Osroa e Farnaspe.
d’Augusto i detti? Ei, d’Emirena amante,
di te parmi geloso, e fida in lei.
Amasse mai costei il mio nemico?
Ah! questo ferro istesso
innanzi alle tue ciglia
vorrei... No, non lo credo. Ella è mia figlia.
Farnaspe. Mio re, che dici mai? Cesare è giusto;
ella è fedele. Ah, qual timor t’affanna!
Osroa. Chi dubita d’un mal, raro s’inganna.
Farnaspe. Io volo a lei. Vedrai...
Osroa. Va’ pur, ma taci
ch’io son fra’ tuoi seguaci.
Farnaspe. Anche alla figlia?
Osroa. Sí; saprai, quando torni,
tutti i disegni miei.
Farnaspe. Sí, sí, mio re, ritornerò con lei.
Giá presso al termine
de’ suoi martíri,
fugge quest’anima,
sciolta in sospiri,
sul volto amabile
del caro ben.