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atto terzo 49


Enea. Se grato esser mi vuoi,
ad esser fido un’altra volta impara.
          Osmida. Quando l’onda, che nasce dal monte,
     al suo fonte ritorni dal prato,
     sarò ingrato a sí bella pietá.
          Fia del giorno la notte piú chiara,
     se a scordarsi quest’anima impara
     di quel braccio che vita mi dá. (parte)

SCENA VI

Enea e Selene frettolosa.

Enea. Principessa, ove corri?
Selene.  A te. M’ascolta.
Enea. Se brami un’altra volta
rammentarmi l’amor, t’adopri invano.
Selene. Ma che fará Didone?
Enea.  Al partir mio
manca ogni suo periglio.
La mia presenza i suoi nemici irríta.
Iarba al trono l’invita:
stenda a Iarba la destra e si consoli. (in atto di partire)
Selene. Senti: se a noi t’involi,
non sol Didone, ancor Selene uccidi.
Enea. Come?
Selene.  Dal dí ch’io vidi il tuo sembiante,
celai timida amante
l’amor mio, la mia fede;
ma, vicina a morir, chiedo mercede:
mercé, se non d’amore,
almeno di pietá; mercé...
Enea.  Selene,
ormai piú del tuo foco
non mi parlar, né degli affetti altrui.