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atto secondo 41


Enea.  (Costanza, o core!)
Iarba. Eh! vada. Allor che teco
Iarba soggiorna, ha da partir costui.
Enea. (Ed io lo soffro?)
Didone.  In lui,
invece di un rival, trovi un amico.
Ei sempre a tuo favore
meco parlò: per suo consiglio io t’amo.
Se credi menzognero
il labbro mio, dillo tu stesso. (ad Enea)
Enea.  È vero.
Iarba. Dunque nel re de’ mori
altro merto non v’è che un suo consiglio?
Didone. No, Iarba; in te mi piace
quel regio ardir, che ti conosco in volto;
amo quel cor sí forte,
sprezzator dei perigli e della morte.
E se il ciel mi destina
tua compagna e tua sposa...
Enea.  Addio, regina.
Basta che fin ad ora
t’abbia ubbidito Enea.
Didone.  Non basta ancora.
Siedi per un momento.
(Comincia a vacillar.)
Enea.  (Questo è tormento!)
 (torna a sedere)
Iarba. Troppo tardi, o Didone,
conosci il tuo dover. Ma pure io voglio
donar gli oltraggi miei
tutti alla tua beltá.
Enea.  (Che pena, o dèi!)
Iarba. In pegno di tua fede
dammi dunque la destra.
Didone.  Io son contenta.
(lentamente, ed interrompendo le parole per osservarne l’effetto in Enea)