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388 v - alessandro nell'indie


Erissena.  Ma tu pur sei
il finto Asbite.
Poro.  E per Asbite solo
mi conosce Alessandro,
son noto a Timagene.
Erissena.  E ben, da questo
si pubblicò che disperato Asbite
nell’Idaspe morí.
Poro.  Fola ingegnosa,
che, d’Alessandro ad evitar lo sdegno,
Timagene inventò.
Erissena.  Lascia ch’io vada
di sí lieta novella
a Cleofide...
Poro.  Ascolta. Infin ch’io giunga
un disegno a compir, giova che ognuno
mi creda estinto, e, piú che ad altri, a lei
convien celare il ver. Per troppo affetto
scoprir mi può; ché van di rado insieme
l’accortezza e l’amore. A maggior uopo
opportuna mi sei. Senti: ritrova
l’amico Timagene. A lui dirai
che del real giardino
nell’ombroso recinto, ove ristagna
l’onda del maggior fonte, ascoso attendo
Alessandro con lui. Lá del suo foglio
può valermi l’offerta. Io di svenarlo,
ei di condurlo abbia la cura.
Erissena.  Oh Dio!
Poro. Tu impallidisci! E di che temi? Hai forse
pietá per Alessandro? E preferisci
la sua vita alla mia?
Erissena.  No. Ma pavento...
Chi sa... Può Timagene
non credermi, tradirci...
Poro. (cava un foglio)   Eccoti un pegno,
per cui ti creda, anzi ti tema. È questo
vergato di sua mano un foglio, in cui
mi stimola all’insidia; e farlo reo
può col suo re, quando c’inganni. Ardisci: