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366 v - alessandro nell'indie


per compire i miei fasti,
un’emula virtú che mi contrasti.
Poro. Forse in Poro l’avrai.
Alessandro.  Qual è di Poro
l’indole, il genio?
Poro.  È degno
d’un guerriero e d’un re.
Alessandro.  Quai sensi in lui
destan le mie vittorie?
Poro. Invidia e non timor.
Alessandro.  La sua sventura
ancor non l’avvilisce?
Poro.  Anzi l’irríta:
e forse adesso a’ patrii numi ei giura
d’involar quegli allori alle tue chiome
colá su l’are istesse,
che il timor de’ mortali offre al tuo nome.
Alessandro. In India eroe sí grande
è germoglio straniero. Errò natura
nel produrlo all’Idaspe. In greca cuna
d’esser nato costui degno saria.
Poro. Credi dunque che sia
il ciel di Macedonia
sol fecondo d’eroi? Qui pur s’intende
di gloria il nome, e la virtú s’onora:
ha gli Alessandri suoi l’Idaspe ancora.
Alessandro. Oh coraggio sublime!
Oh illustre fedeltá! Poro felice
per sudditi sí grandi! Al tuo signore
libero torna, e digli
.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
Alessandro. Generoso però. Libero il passo
si lasci al prigionier. Ma il fianco illustre
abbia il suo peso, e non rimanga inerme.
 (si cava la spada per darla a Poro)
Prendi questa, ch’io cingo,
ricca di Dario e preziosa spoglia,
e, lei trattando, il donator rammenta.
Vanne, e sappi frattanto,
per gloria tua, ch’altro invidiar finora