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atto secondo 29

SCENA III

Didone con foglio in mano, Osmida, e poi Selene.

Didone. Giá so che si nasconde
de’ mori il re sotto il mentito Arbace.
Ma, sia qual piú gli piace, egli m’offese;
e senz’altra dimora,
o suddito o sovrano, io vuo’ che mora.
Osmida. Sempre in me de’ tuoi cenni
il piú fedele esecutor vedrai.
Didone. Premio avrá la tua fede.
Osmida. E qual premio, o regina? Adopro invano
per te fede e valore:
occupa solo Enea tutto il tuo core.
Didone. Taci, non rammentar quel nome odiato.
È un perfido, è un ingrato,
è un’alma senza legge e senza fede.
Contro me stessa ho sdegno,
perché finor l’amai.
Osmida. Se lo torni a mirar, ti placherai.
Didone. Ritornarlo a mirar? Perfin ch’io viva
mai piú non mi vedrá quell’alma rea.
Selene. Teco vorrebbe Enea
parlar, se gliel concedi.
Didone. Enea! Dov’è?
Selene.  Qui presso,
che sospira il piacer di rimirarti.
Didone. Temerario! Che venga. (Selene parte)
 Osmida, parti.
Osmida. Io non tel dissi? Enea
tutta del cor la libertá t’invola.
Didone. Non tormentarmi piú: lasciami sola.
 (Osmida parte)