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28 i - didone abbandonata


Selene. Araspe, il tuo valore,
il volto tuo, la tua virtú mi piace;
ma giá pena il mio cor per altra face.
Araspe. Quanto son sventurato!
Selene.  È piú Selene.
Se t’accende il mio volto,
narri almen le tue pene, ed io le ascolto.
Io l’incendio nascoso
tacer non posso e palesar non oso.
Araspe. Soffri almen la mia fede.
Selene. Sí, ma da me non aspettar mercede.
Se può la tua virtude
amarmi a questa legge, io tel concedo;
ma non chieder di piú.
Araspe.  Di piú non chiedo.
               Selene. Ardi per me fedele,
          serba nel cor lo strale;
          ma non mi dir crudele.
          se non avrai mercé.
               Hanno sventura eguale
          la tua, la mia costanza:
          per te non v’è speranza,
          non v’è pietá per me. (parte)

SCENA II

Araspe solo.

Tu dici ch’io non speri,
ma nol dici abbastanza:
l’ultima che si perde è la speranza. (parte)