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atto terzo | 305 |
SCENA XII
Fulvia.
Misera! dove son? L’aure del Tebro
son queste ch’io respiro?
Per le strade m’aggiro
di Tebe e d’Argo; o dalle greche sponde,
di tragedie feconde,
vennero a questi lidi
le domestiche furie
della prole di Cadmo e degli Atridi?
Lá d’un monarca ingiusto
l’ingrata crudeltá m’empie d’orrore:
d’un padre traditore
qua la colpa m’agghiaccia;
e lo sposo innocente ho sempre in faccia.
Oh immagini funeste!
oh memorie! oh martiro!
Ed io parlo, infelice, ed io respiro?
Ah! non son io che parlo,
è il barbaro dolore,
che mi divide il core,
che delirar mi fa.
Non cura il ciel tiranno
l’affanno — in cui mi vedo:
un fulmine gli chiedo,
e un fulmine non ha. (parte)
SCENA XIII
Campidoglio antico, con popolo.
Massimo senza manto, con séguito; poi Varo.
Massimo. Inorridisci, o Roma:
d’Attila lo spavento, il duce invitto,
il tuo liberator cadde trafitto.