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296 iv - ezio


S’altro a dirmi non hai,
torno alla mia prigion; seco parlai.
Valentiniano.  Non potea dirti Onoria
quanto offrirti vogl’io.
Ezio.  Lo so; mel disse:
che la mia libertá, che il primo affetto,
che l’amistá d’Augusto i doni sono.
Valentiniano.  Ma non disse il maggior.

SCENA VI

Fulvia e detti.

Valentiniano.  (accennando Fulvia)   Vedi qual dono.
Ezio. Fulvia!
Massimo.  (Che mai sará! L’alma s’agghiaccia).
Fulvia. Da Fulvia che si vuol?
Valentiniano.  Che ascolti e taccia.
Ti sorprende l’offerta. Ella è sì grande, (ad Ezio)
che crederla non sai, ma temi invano:
la promisi, l’affermo; ecco la mano.
Ezio. A qual prezzo però mi si concede
d’esserne possessor?
Valentiniano.  Poco si chiede.
Tu sei reo per amor: chi visse amante
facilmente ti scusa. Altro non bramo
che un ingenuo parlar. Tutto il disegno
svelami, te ne priego, acciò non viva
Cesare piú co’ suoi timori intorno.
Ezio. Addio, mia vita: alla prigione io torno. (a Fulvia)
Valentiniano.  (E il soffro?)
Fulvia.  (Aimè!)
Valentiniano.  (ad Ezio)  Senti. E lasciar tu vuoi,
ostinato a tacer, Fulvia, che tanto
fedel ti corrisponde?
Parla. (Né meno il traditor risponde.)