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atto terzo 291


inutili a ciascuno, a sé mal noti,
cui non scaldò di bella gloria il foco,
vivendo lunga etá, vissero poco.
Ma coloro che vanno
per l'orme ch’io segnai,
vivendo pochi dí, vissero assai.
Onoria. Se di te non hai cura,
abbila almen di me.
Ezio.  Che dici?
Onoria.  Io t’amo:
piú tacerlo non so. Quando mi veggo
a perderti vicina, i torti obblio;
ed è poca difesa
alla mia debolezza il fasto mio.
Ezio. Onoria, e tu sei quella
che umiltá mi consigli? In questa guisa
insuperbir mi fai. Potessi almeno,
come i tuoi pregi ammiro, amarti ancora!
Deh! consenti ch’io mora. Ezio piagato
per altro stral ti viverebbe ingrato.
Onoria. Viva ingrato, mi renda
d’ogni speranza priva,
mi sprezzi pur, mi sia crudel; ma viva.
E se pur la tua vita
abborrisci cosí, perché m’è cara,
cerca almeno una morte
che sia degna di te. Coll’armi in pugno
mori vincendo; onde t’invidi il mondo,
non ti compianga.
Ezio.  O in carcere o fra l'armi,
ad altri insegnerò come si mora.
Farò invidiarmi in questo stato ancora.
          Guarda pria se in questa fronte
     trovi scritto — alcun delitto,
     e dirai che la mia sorte
     desta invidia e non pietá.