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atto secondo 283


senza il timor, che le congiunge a noi,
si volgessero poi contro l’impero?
Cerca per queste imprese altro guerriero.
Son reo, perché conosco
qual io mi sia, perché di me ragiono.
L’alme vili a se stesse ignote sono.
Fulvia. (Partir potessi!)
Valentiniano.  Un nuovo fallo è questa
temeraria difesa. Altro t’avanza
per tua discolpa ancor?
Ezio.  Dissi abbastanza.
Cesare, non curarti
tutto il resto ascoltar, ch’io dir potrei.
Valentiniano.  Che diresti?
Ezio.  Direi
che produce un tiranno
chi solleva un ingrato. Anche ai sovrani
direi che desta invidia
de’ sudditi il valor; che a te dispiace
d’essermi debitor; che tu paventi
in me que’ tradimenti,
che sai di meritar, quando mi privi
d’un cor...
Valentiniano.  Superbo! a questo eccesso arrivi
Fulvia. (Aimè!)
Valentiniano.  Punir saprò...
Fulvia.  Soffri, se m’ami,
che Fulvia parta. I vostri sdegni irríta
l’aspetto mio. (s’alza)
Valentiniano.  No, non partir. Tu scorgi
che mi sdegno a ragion. Siedi, e vedrai
come un reo pertinace
a convincer m’accingo.
Ezio. (Donna infedel!)
Fulvia. (torna a sedere)   (Potessi dir che fingo).
Massimo. (Tutto finor mi giova.)