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282 iv - ezio


Ezio. Il giudice qual è? Pende il mio fato
da Cesare o da Fulvia?
Valentiniano. E Fulvia ed io
siamo un giudice solo. Ella è sovrana,
or che in lacci di sposo a lei mi stringo.
Ezio. (Donna infedel!)
Fulvia. (Potessi dir che fingo!)
Valentiniano. Ezio, m’ascolta, e a moderare impara,
per poco almeno, il naturale orgoglio,
che giovarti non può. Qui si cospira
contro di me. Del tradimento autore
ti crede ognun. Di fellonia t’accusa
il rifiuto d’Onoria, il troppo fasto
delle vittorie tue, l’aperto scampo
ad Attila permesso, il tuo geloso
e temerario amor, le tue minacce,
di cui tu sai che testimonio io sono.
Pensa a scolparti o a meritar perdono.
Massimo. (Sorte, non mi tradir!)
Ezio. Cesare, invero
ingegnoso è il pretesto. Ove s’asconde
costui che t’assalí? Chi dell’insidia
autor mi afferma? Accusator tu sei
del figurato eccesso,
giudice e testimonio a un tempo istesso.
Fulvia. (Oh Dio! si perde.)
Valentiniano. (E soffrirò l’altero?)
Ezio. Ma il delitto sia vero:
perché si appone a me? Perché d’Onoria
la destra ricusai? Dunque ad Augusto
serbai la libertá col mio sudore,
perché a me la togliesse anche in amore?
È d’Attila la fuga
che mi convince reo? Dunque io dovea
Attila imprigionar, perché d’Europa
tutte le forze e l’armi,