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276 iv - ezio


le sue minacce: ecco l’effetto. E pure,
incredulo il mio core
reo non sa figurarlo e traditore.
Massimo. Oh virtú senza pari! È questo invero
eccesso di clemenza. E chi dovrebbe
piú di te condannarlo? Ei ti disprezza;
ricusa quella mano
contesa dai monarchi. Ogni altra avria...
Onoria. Ah! dell’ingiuria mia
non ragionarmi piú. Quella mi punse
nel piú vivo del cor. Superbo! ingrato!
allor che mel rammento,
tutto il sangue agitar, Massimo, io sento.
Non giá però ch’io l’ami, o che mi spiaccia
di non essergli sposa. Il grado offeso...,
la gloria..., l’onor mio...
son le cagioni...
Massimo.  Eh! lo conosco anch’io;
ma nol conosce ognun. Sai che si crede
piú l’altrui debolezza
che la virtude altrui. La tua clemenza
può comparire amor. Questo sospetto,
solo con vendicarti,
puoi dileguar. Non abborrire alfine
una giusta vendetta:
tanta clemenza a nuovi oltraggi alletta.
Onoria. Le mie private offese ora non sono
la maggior cura. Esaminar conviene
del germano i perigli. Ezio s’ascolti,
si trovi il reo. Potrebbe
esser egli innocente.
Massimo.  È vero; e poi
potrebbe anche pentirsi;
la tua destra accettar...
Onoria.  La destra mia...
Eh! non tanto se stessa Onoria obblia.