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atto secondo 267


al tentar delle piume,
previdi un tradimento. In piè balzai,
strinsi un acciar: contro il fellon, che fugge,
fra l’ombre i colpi affretto. Accorre al grido
stuol di custodi, e delle aperte logge
mi veggo, al lume inaspettato e nuovo,
sanguigno il ferro: il traditor non trovo.
Massimo. Forse Emilio non fu.
Valentiniano. La nota voce
ben riconobbi al grido, onde si dolse
allor che lo piagai.
Massimo. Ma per qual fine
un tuo servo arrischiarsi al colpo indegno?
Valentiniano. Il servo lo tentò: d’altri è il disegno.
Fulvia. (Oh Dio!)
Massimo. Lascia ch’io vada
in traccia del fellon. (in atto di partire)
Valentiniano. Cura è di Varo:
tu non partire.
Massimo. (Ah, son perduto!) Io forse
meglio di lui potrò...
Valentiniano. Massimo, amico,
non lasciarmi così: se tu mi lasci,
donde spero consiglio e donde aita?
Massimo. T’ubbidisco. (Io respiro.)
Fulvia. (Io torno in vita.
Massimo. Ma chi del tradimento
tu credi autor?
Valentiniano. Puoi dubitarne? In esso
Ezio non riconosci? Ah! se mai posso
convincerlo abbastanza, i giorni suoi
l’error mi pagheranno.
Fulvia. (Mancava all’alma mia quest’altro affanno!)
Massimo. Io non so figurarmi
in Ezio un traditor. D’esserlo almeno
non ha ragion. Benignamente accolto...