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atto primo 257


Massimo. La prima arte del regno
è il soffrir l’odio altrui. Giova al regnante
piú l’odio che l’amor. Con chi l’offende
ha piú ragion d’esercitar l’impero.
Valentiniano.  Massimo, non è vero.
Chi fa troppo temersi,
teme l’altrui timor. Tutti gli estremi
confinano fra loro. Un dí potrebbe
il volgo contumace
per soverchio timor rendersi audace.
Massimo. Signor, meglio d’ogni altro
sai l’arte di regnare. Hanno i monarchi
un lume ignoto a noi. Parlai finora
per zelo sol del tuo riposo, e volli
rammentar che si deve
ad un periglio opporsi infin che è lieve.
               Se povero il ruscello
          mormora lento e basso,
          un ramoscello, un sasso
          quasi arrestar lo fa.
               Ma se alle sponde poi
          gonfio d’umor sovrasta,
          argine oppor non basta,
          e co’ ripari suoi
          torbido al mar sen va. (parte)

SCENA IX

Valentiniano, poi Ezio.

Valentiniano.  Del ciel felice dono
sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
ma sembra il trono istesso
dono infelice a chi vi sta d’appresso.
Ezio. Eccomi al cenno tuo.