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234 iii - catone in utica


la costanza funesta;
sempre è notte per me, sempre è tempesta.
               Nacqui agli affanni in seno;
          ognor cosí penai;
          né vidi un raggio mai
          per me sereno in ciel.
               Sempre un dolor non dura;
          ma, quando cangia tempre,
          sventura da sventura
          si riproduce, e sempre
          la nuova è piú crudel. (parte)

SCENA XI

Gran piazza d’armi dentro le mura di Utica. Parte di dette mura diroccate. Campo da’ cesariani fuori della cittá, con padiglioni, tende e macchine militari.

Nell’aprirsi della scena si vede l’attacco sopra le mura, Arbace al di dentro tenta rispinger Fulvio, giá inoltrato con parte de’ cesariani dentro le mura; poi Catone, in soccorso d’Arbace; indi Cesare, difendendosi da alcuni che l’hanno assalito. I cesariani entrano per le mura. Cesare, Catone, Fulvio ed Arbace si disviano combattendo. Siegue fatto d’armi fra i due eserciti. Fuggono i soldati di Catone rispinti: i cesariani gl’incalzano; e, rimasta la scena vuota, esce di nuovo

Catone con ispada rotta in mano.

Vinceste, inique stelle! Ecco, distrugge
un punto sol di tante etadi e tante
il sudor, la fatica. Ecco soggiace
di Cesare all’arbitrio il mondo intero.
Dunque (chi ’l crederia!) per lui sudâro
i Metelli, i Scipioni? Ogni romano
tanto sangue versò sol per costui?
E l’istesso Pompeo pugnò per lui?
Misera libertá! Patria infelice!
Ingratissimo figlio! Altro il valore
non ti lasciò degli avi,
nella terra giá doma,
da soggiogar che il Campidoglio e Roma!