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228 iii - catone in utica


Cesare. Stai di Cesare in braccio.
Catone.  Ah, indegno! e quando
andrai lungi da me? (tenta di alzarsi e ricade)
Cesare.  Plàcati.
Catone.  Io voglio...
Manca il vigor: ma l’ira mia richiami
gli spirti al cor. (s’alza da sedere)
Marzia.  Reggiti, o padre.
Cesare.  E vuoi
morir cosí nemico?
Catone.  Anima rea,
io moro sí, ma della morte mia
poco godrai: la libertade oppressa
il suo vindice avrá. Palpita ancora
la grand’alma di Bruto in qualche petto.
Chi sa...
Arbace.  Tu manchi.
Emilia.  Oh Dio!
Catone.  Chi sa? Lontano
forse il colpo non è. Per pace altrui
raffretti il cielo; e quella man, che meno
credi infedel, quella ti squarci il seno.
Fulvio. (L’insulta anche morendo!)
Catone.  Ecco... al mio ciglio...
giá langue... il dí.
Cesare.  Roma, chi perdi!
Catone.  Altrove...
portatemi... a morir.
Marzia.  Vieni.
Emilia e Arbace.  Che affanno!
Catone. No, non vedrai..., tiranno...,
nella... morte... vicina...
spirar... con me... la libertá... latina.
(Catone, sostenuto da Marzia e da Arbace, entra morendo)
Cesare. Ah! se costar mi deve
i giorni di Catone il serto, il trono,
ripigliatevi, o numi, il vostro dono. (getta il lauro)