Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto secondo | 209 |
Arbace. Di colei che mi accende,
ah! non parlar cosí.
Emilia. Non hai rossore
di tanta debolezza? A tale oltraggio
resisti ancor?
Arbace. Che posso far? È ingrata,
è ingiusta, io lo conosco; e pur l’adoro;
e sempre piú si avanza
con la sua crudeltá la mia costanza.
Emilia. Se sciogliere non vuoi
dalle catene il cor,
di chi lagnar ti puoi?
Sei folle nell’amor,
non sei costante.
Ti piace il suo rigor,
non cerchi libertá;
l’istessa infedeltá
ti rende amante. (parte)
SCENA XVI
Arbace.
L’ingiustizia, il disprezzo,
la tirannia, la crudeltá, lo sdegno
dell’ingrato mio ben senza lagnarmi
tollerare io saprei: tutte son pene
soffribili ad un cor. Ma su le labbra
della nemica mia sentire il nome
del felice rival, saper che l’ama,
udir che i pregi ella ne dica, e tanto
mostri per lui d’ardire:
questo, questo è penar, questo è morire!
Che sia la gelosia
un gelo in mezzo al foco,