vedi Scevola all’ara, Orazio al ponte,
e di Cremera all’acque,
di sangue e di sudor bagnati e tinti,
trecento Fabi in un sol giorno estinti. Cesare. Se allor giovò di questi,
nuocerebbe alla patria or la mia morte. Catone. Per qual ragione? Cesare. È necessario a Roma
che un sol comandi. Catone. È necessario a lei
ch’egualmente ciascun comandi e serva. Cesare. E la pubblica cura
tu credi piú sicura in mano a tanti,
discordi negli affetti e ne’ pareri?
Meglio il voler d’un solo
regola sempre altrui. Solo fra’ numi
Giove il tutto dal ciel governa e move. Catone. Dov’è costui che rassomigli a Giove?
Io non lo veggo; e, se vi fosse ancora,
diverrebbe tiranno in un momento. Cesare. Chi non ne soffre un sol, ne soffre cento. Catone. Cosí parla un nemico
della patria e del giusto. Intesi assai:
basta cosí. (s’alza) Cesare. Ferma, Catone. Catone. È vano
quanto puoi dirmi. Cesare. Un sol momento aspetta:
altre offerte io farò. Catone. Parla, e t’affretta. (torna a sedere) Cesare. (Quanto sopporto!) Il combattuto acquisto
dell’impero del mondo, il tardo frutto
de’ miei sudori e de’ perigli miei,
se meco in pace sei,
dividerò con te. Catone. Sí, perché poi