Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/205


atto secondo 199


Cesare. T’appagherò. (Come m’accoglie!) (siede) Il primo
de’ miei desiri è il renderti sicuro
che il tuo cor generoso,
che la costanza tua...
Catone.  Cangia favella,
se pur vuoi che t’ascolti. Io so che questa
artifiziosa lode è in te fallace;
e, vera ancor, da’ labbri tuoi mi spiace.
Cesare. (Sempre è l’istesso.) Ad ogni costo io voglio
pace con te. Tu scegli i patti; io sono
ad accettarli accinto,
come faria col vincitore il vinto.
(Or che dirá?)
Catone.  Tanto offerisci?
Cesare.  E tanto
adempirò, ché dubitar non posso
d’un’ingiusta richiesta.
Catone. Giustissima sará. Lascia dell’armi
l’usurpato comando, il grado eccelso
di dittator deponi, e come reo
rendi in carcere angusto
alla patria ragion de’ tuoi misfatti.
Questi, se pace vuoi, saranno i patti.
Cesare. Ed io dovrei...
Catone.  Di rimanere oppresso
non dubitar, ché allora
sarò tuo difensore.
Cesare.  (E soffro ancora!)
Tu sol non basti. Io so quanti nemici
con gli eventi felici
m’irritò la mia sorte; onde potrei
i giorni miei sagrificare invano.
Catone. Ami tanto la vita, e sei romano?
In piú felice etade agli avi nostri
non fu cara cosí. Curzio rammenta,
Decio rimira a mille squadre a fronte,