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182 | iii - catone in utica |
Emilia. Io non l’intendo, e parmi
il vostro amore inusitato e nuovo.
Arbace. Anch’io poco l’intendo, e pur lo provo.
È in ogni core
diverso amore:
chi pena ed ama
senza speranza;
dell’incostanza
chi si compiace;
questo vuol guerra,
quello vuol pace;
v’è fin chi brama
la crudeltá.
Fra questi miseri
se vivo anch’io,
ah, non deridere
l’affanno mio,
ché forse merito
la tua pietá! (parte)
SCENA XIV
Marzia ed Emilia.
Emilia. Se manca Arbace alla promessa fede,
è Cesare l’indegno
che l’ha sedotto.
Marzia. I tuoi sospetti affrena:
è Cesare incapace
di cotanta viltá, benché nemico.
Emilia. Tu nol conosci; è un empio: ogni delitto,
pur che giovi a regnar, virtú gli sembra.
Marzia. E pur sí fidi e numerosi amici
adorano il suo nome.
Emilia. È de’ malvagi
il numero maggior. Gli unisce insieme