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atto primo 177


del mondo intier dolce speranza e mia:
questo Cesare amai, questo mi piacque,
pria che l’avesse il ciel da me diviso:
questo Cesare torni, e lo ravviso.
Cesare. Sempre l’istesso io sono; e, se al tuo sguardo
piú non sembro l’istesso, o pria l’amore,
o t’inganna or lo sdegno. All’armi, all’ire
mi spinse a mio dispetto,
piú che la scelta mia, l’invidia altrui.
Combattei per difesa. A te dovevo
conservar questa vita; e, se pugnando
scorsi poi vincitor di regno in regno,
sperai farmi cosí di te piú degno.
Marzia. Molto ti deggio inver. Se ingiusta offesi
il tuo cor generoso, a me perdona.
Io, semplice, finora
sempre credei che si facesse guerra
solamente a’ nemici, e non spiegai
come pegni amorosi i tuoi furori;
ma in avvenir l’affetto
d’un grand’eroe, che viva innamorato,
conoscerò cosí. Barbaro! ingrato!
Cesare. Che far di piú dovrei? Supplice io stesso
vengo a chiedervi pace,
quando potrei... Tu sai...
Marzia.  So che con l’armi
però la chiedi.
Cesare.  E disarmato all’ira
de’ nemici ho da espormi?
Marzia.  Eh! di’ che il solo
impaccio al tuo disegno è il padre mio:
di’ che lo brami estinto e che non soffri,
nel mondo che vincesti,
che sol Catone a soggiogar ti resti.
Cesare. Or m’ascolta e perdona
un sincero parlar. Quanto me stesso