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172 | iii - catone in utica |
SCENA VI
Cesare, Emilia e Fulvio.
Cesare. Tu taci, Emilia? In quel silenzio io spero
un principio di calma.
Emilia. T’inganni: allor ch’io taccio,
medito le vendette.
Fulvio. E non ti plachi
d’un vincitor sí generoso a fronte?
Emilia. Io placarmi! Anzi sempre in faccia a lui,
se fosse ancor di mille squadre cinto,
dirò che l’odio e che lo voglio estinto.
Cesare. Nell’ardire che il seno ti accende,
cosí bello lo sdegno si rende,
che in un punto mi desti nel petto
meraviglia, rispetto e pietá.
Tu m’insegni con quanta costanza
si contrasti alla sorte inumana,
e che sono ad un’alma romana
nomi ignoti timore e viltá. (parte)
SCENA VII
Emilia e Fulvio.
Emilia. Quanto da te diverso
io ti riveggo, o Fulvio! E chi ti rese
di Cesare seguace, a me nemico?
Fulvio. Allor ch’io servo a Roma,
non son nemico a te. Troppo ho nell’alma
de’ pregi tuoi la bella immago impressa:
e s’io men di rispetto
avessi al tuo dolor, direi che ancora