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atto secondo 133


Emira.  Chiedea Laodice
importuna l’ingresso: acciò non fosse
a te molesta, allontanar la feci.
Cosroe. E partí?
Emira.  Sí, mio re.
Cosroe.  Vanne, e l’arresta.
Emira. Vado. (Mi vuoi tradir?) (a Siroe)
Siroe.  (Che pena è questa!)
Cosroe. Parla: Laodice è tua. Di piú che brami?
Dubbioso ancor ti veggio?
Siroe. Sdegno Laodice, e favellar non deggio.
Cosroe. Perfido! Alfin tu vuoi (s’alza)
morir da traditor, come vivesti.
Che piú da me vorresti?
Ti scuso, ti perdono;
ti richiamo sul trono;
colei che m’innamora
ceder ti voglio; e non ti basta ancora?
La mia morte, il mio sangue
è il tuo voto, lo so; saziati, indegno!
Solo e senza soccorso
giá teco io son: via! ti soddisfa appieno.
Disarmami, inumano! e m’apri il seno.
Emira. E chi tant’ira accende?
Cosí senza difesa
in periglio lasciarti a me non lice.
Eccomi al fianco tuo.
Cosroe.  Venga Laodice.
Siroe. Signor, se amai Laodice,
punisca il ciel...
Cosroe.  Non irritar gli dèi
con novelli spergiuri.