Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto secondo | 119 |
Siroe. La tua ruina
non fa la mia salvezza. Anche innocente
di questa colpa, io di piú grave errore
giá son creduto autor. Taci: potrebbe
destar la tua pietá nuovi sospetti
d’amorosa fra noi
segreta intelligenza.
Laodice. E qual emenda
può farmi meritare il tuo perdono?
Tu me l’addita: a quanto
prescriver mi vorrai pronta son io;
ma poi scòrdati, o caro, il fallo mio.
Siroe. Piú nol rammento; e, se ti par che sia
la sofferenza mia di premio degna,
piú non amarmi.
Laodice. Oh Dio! come potrei
lasciar sì dolci affetti in abbandono?
Siroe. Questo da te domando unico dono.
Laodice. Mi lagnerò tacendo
del mio destino avaro;
ma ch’io non t’ami, o caro,
non lo sperar da me.
Crudele! in che t’offendo,
se resta a questo petto
il misero diletto
di sospirar per te? (parte)
SCENA II
Siroe, poi Emira sotto nome d’Idaspe.
Siroe. Come quel di Laodice,
potessi almen lo sdegno
placar dell’idol mio.
Emira. Férmati, indegno!